GLI UOMINI DELLA RSI: GIAMPIETRO PELLEGRINI 


PELLEGRINI GIAMPIETRO, IL MINISTRO CHE SALVO' LE RISERVE AUREE
Bruno De Padova
 
 
Domenico Pellegrini-Giampietro, quell’integro docente di Diritto pubblico comparato nel l’Università di Napoli, dal 1934 in poi, e che, contemporaneamente, fu anche maestro di norme giuridiche ed economiche alla facoltà d’Ingegneria del medesimo Ateneo partenopeo, è stato l’uomo politico davvero capace ed altrettanto garante di coerenza che Benito Mussolini il 23 settembre 1943 - nei giorni successivi al collasso delle FF.AA. italiane per la resa incondizionata al nemico complottata dai Savoia, da Badoglio e da altri pusillanimi- convocò e designò all’impegnativa conduzione del Ministero delle Finanze, Scambi e Valute nel governo della nascente Repubblica Sociale, cioè di quel dicastero che ebbe nel passato - dal dicembre 1869 al giugno 1873- per rigido amministratore quel Quintino Sella che, senza badare a qualsiasi rischio d’impopolarità, contribuì alla prima fase conclusiva dell’unificazione risorgimentale della nostra Patria, per la quale il giureconsulto del Potentino lucano (adesso Basilicata) intervenne con saggezza - dopo l’8 settembre sino al 28 aprile 1945 - per divenire l’autentico tutore dell’intero patrimonio di questo Paese in uno dei periodi più sconvolgenti del mondo intero e mentre il territorio dell’intera penisola, dal Brennero alla Sicilia e dalle Alpi Marittime alla Venezia Giulia, era conteso con continue battaglie per l’occupazione militare condotta dagli incalzanti invasori anglo-statunitensi e ostacolati sull’altra parte delle fronti dai soldati della Wehrmacht germanica, alquanto incattiviti dal subdolo voltafaccia compiuto dallo Stato Maggiore dell’Esercito regio con il vergognoso armistizio-tradimento, tra l’altro stipulato a Cassibile dal gen. Castellano circa una settimana prima della sua proclamazione forzata ed annunciata da D.D. Eisenhower mediante Radio Algeri quando a Roma il marchese di Caporetto avrebbe preferito continuare a ‘tacerlo’.
Dilagò in quei terribili momenti il completo disorientamento nelle popolazioni di qualsiasi regione italica, mentre le conseguenze della ‘diaspora’ massonica ricercata dagli amici dei nemici - così Antonino Trizzino indicò poi i voltagabbana del 25 luglio e del l’8 settembre - dilagarono ovunque insieme al malcostume dell’opportunismo unitamente agli abusi degli speculatori d’ogni specie, favorendo un camuffamento quasi collettivo in quell’antifascismo di comodo che nessun pluralismo di concetti poteva ammettere e che, per l’esattezza, costò troppe sofferenze alle categorie sociali più deboli.
Fu avverso a tale catastrofe politica, civile e sociale che il nuovo ministro delle Finanze della R.S.I. intervenne con fermezza, a tutela effettiva degli interessi dell’economia nazionale e delle nostre genti. Di ciò si ottiene la più chiara conferma da Filippo Anfuso che a pag. 487 e successiva dell’opera "Roma, Berlino, Salò" (ediz. 1950) precisò:
C’era un piccolo napoletano, tutto pepe e nervi, Pellegrini-Giampietro, che difendeva le nostre Finanze, e correva - tra Rahn e Mussolini- come quei ragazzi stizzosi e mingherlini che durante una partita di calcio si rivelavano dei grandi atleti per il solo miracolo della volontà’.
Fu con tale tenacia che quest’uomo collaborò col ministro dell’Economia Corporativa dott. Angelo Tarchi e con il suo sottosegretario prof. Manlio Sargenti all’approvazione in data 12 febbraio 1944 al Decreto-legge sulla Socializzazione delle imprese, strumento realmente rivoluzionario per l’equilibrio dei rapporti tra imprenditori e produttori nel mondo del Lavoro, tanto che Mussolini quando ne esaminò le bozze, disse: "E’ l’idea che volevo realizzare nel 1919!". Di ciò fornisce conferma Arrigo Petacco a pag. 171 del libro "Il comunista in camicia nera: Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini’ (ediz. 1996), tra l’altro altrettanto puntualizzato da Salvatore Francia nel volume "L’altro volto della Repubblica Sociale It." (ediz. 1988) in cui a pag. 121 illustra il "Programma di S.Sepolcro", autentico caposaldo della genuina ideologia fascista, e che con la "Carta del Lavoro" del 21 aprile 1927 ottenne una prima, ma parziale soddisfazione perchè ostacolata dalla borghesia e dai complici della plutocrazia.
Inoltre, questo "grande Ministro delle Finanze" della Repubblica Sociale - come lo definì con chiarezza lo stesso Mussolini - ottenne già il 25 ottobre 1943 (poche settimane dopo la sua designazione nell’incarico) il ritiro immediato dalla circolazione nell’intero territorio italiano dei ‘marchi d’occupazione’ (esattamente i Reichskreidit Kassenscheine) ed obbligando le truppe germaniche ad effettuare ogni pagamento esclusivamente con le lire italiane, imponendo contemporaneamente ad esse e ai loro Comandi di potere effettuare requisizioni indiscriminate o prelievi di fondi della nostra moneta presso gli istituti bancari. Altresì - in contropartita - fu concesso all’Ambasciata tedesca un contributo mensile di sette miliardi per tutte le spese militari, di fortificazioni, di riattazione delle vie di comunicazione ecc., facendosi confermare ciò mediante un protocollo che riaffermava la sovranità del nostro Stato nel settore monetario e di controllo assoluto sulla circolazione. Nel contempo, questo ministro impedì il trasferimento del nostro Poligrafico a Vienna, ottenendo - insieme alla nostra Ambasciata in Berlino - il trasferimento in Italia dei risparmi effettuati dai nostri lavoratori nel Terzo Reich, salvaguardando altresì le riserve d’oro e di platino italiane e ponendole al sicuro da qualsiasi rischio di possibili sottrazioni e fece restituire al nostro ministro degli Esteri buona parte dell’oro che le truppe occupanti avevano sottratto alla Banca d’Italia con l’armistizio, mentre pagò anche alla Confederazione Elvetica un debito del sorpassato governo regio. 
Sull’operosità costruttiva del ministro e sulle sue capacità indichiamo un’altra precisa conferma. E’ fornita da S. Bertoldi a pag. 311 del libro "Salò - Vita e morte della R.S.I." (ediz. 1976) in cui si precisa: "Rahn vedeva arrivare Pellegrini-Giampietro come un castigo di Dio. Impallidiva quando vedeva spuntare il ‘neapolitaner’ Pellegrini-Giampietro che veniva a difendere i quattro soldi della R.S.I. in tutti i dialetti del Mezzogiorno e se il plenipotenziario tedesco estraeva i sofismi geopolitici, Pellegrini - che è anche professore - lo ammutoliva con le sue verità scientifiche".
Esiste nel contempo un’altra importante documentazione su quest’uomo, lucano d’origine
e partenopeo d’adozione: è un opera che noi segnaliamo perchè, dopo la conclusione del 2° conflitto mondiale, fornisce un’ampia documentazione sull’azione svolta da Pellegrini-Giampietro a favore della nostra Nazione e del suo popolo. Si tratta del volume "Il ministro Domenico Pellegrini-Giampietro nel tramonto del Fascismo", edito a Napoli nel 1992 dai Fratelli Conte Editori, e che il dott. Angelo Norelli ha realizzato con scrupolosità di dettagli e che, come indica il prof. Michelengelo Mendella nella prefazione, fa emergere l’autore dell’opera "Forme di governo e moderne costituzioni" (è il Pellegrini del 1934) tra le figure più vive del Fascismo napoletano, tra quelle rappresentate dal giurista Alfredo Rocco, dall’economista Beneduce, dal giornalista Bruno Spampanato e da molti altri quali Padovani, Sansanelli, Tecchio e Baistrocchi. 
Nato a Brienza - in provincia di Potenza - il 30.8.1899, Domenico Pellegrini-Giampietro conseguì a Napoli la laurea in giurisprudenza e nella "Grande Guerra" (1914—1918), dopo avere attivato in Campania l’interventismo, combattè da volontario sulla fronte italo-austriaca, altrettanto fece nella Spagna a fianco della Falange (1936—1939) e poi, all’inizio del 2° conflitto mondiale, nella campagna di Grecia-Albania (1940—1941) subendo anche un’invalidità. Conseguì tre medaglie d’Argento, altre decorazioni straniere, due avanzamenti di grado per meriti di guerra sino a quello di colonnello. Nel contempo (ecco il ‘neapolitaner’ che faceva impallidire il plenipotenziario Rahn!) fu sempre uno studioso ed uomo politico di grande capacità, quale - ad esempio - direttore di "Scuola Sindacale" nell’Ateneo campano, segretario federale del PNF napoletano all’inizio del 1943, consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni e assolvendo persino al compito di sottosegretario di Stato per le Finanze sino al 25.7.’43.
Sulla tematica di diritto, politica ed economia, Pellegrini-Giampietro ha precisato che "lo Stato fascista - riallacciandosi al Risorgimento - ne ha compiuto l’opera, realizzando l’unità morale, politica ed economica della Nazione" e lo specificò nell’opera "La sovranità degli Stati moderni" (ediz. 1934), mentre, esaminando varie forme di essa, ne individuò tre: 1) la teoria teocratica, che si ha quando la sovranità viene esercitata dal governo in rappresentanza della Divinità; 2) la teoria legittimistica, di cui esempio tipico è la Restaurazione; 3) la teoria democratica col governo del popolo, distinta in radicale oppure liberale. Nessuna di tali sovranità - a suo avviso - se si considerano le contemporanee esigenze di sviluppo civile è all’altezza della formula politica indispensabile all’autentico progresso civile e, quando nel 1944 il ministro Carlo Alberto Bigini seppe eseguire il progetto di Costituzione della R.S.I. da fare approvare dal popolo, riconobbe - come puntualizzò a propria volta Piero Pisenti - che la Repubblica necessaria possedeva i presupposti fondamentali per lo sviluppo più avanzato in materia istituzionale e, in particolare, tramite il programma di tutela della proprietà privata e, nel contempo, quello sulla socializzazione dei redditi delle imprese produttive. A ciò fornisce un valido riconoscimento anche il filosofo e studioso partenopeo Edmondo Cione nella sua "Storia della R.S.I.", pubblicata a Caserta nel 1947, e in cui espone la promozione del Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista avvenuta a Milano nel febbraio 1945 con l’approvazione dello stesso Mussolini.
Nell’ambito degli uomini e delle scelte che distinsero la R.S.I., fra tutti i protagonisti della repubblica di Mussolini, quanto focalizza maggiormente l’azione di Pellegrini-Giampietro è quell’autobiografia "L’oro di Salò" pubblicata nel 1958 dal settimanale milanese "Il Candido" che fornisce la prova - quale memoriale - di quanto compì per impedire ai tedeschi di sciogliere il corpo della Guardia di Finanza per tutelarne i relativi compiti d’istituto; di come salvaguardò le riserve auree e di platino della Banca d’Italia nella sua sede a Fortezza (dove nel 1945 le trovarono gli anglo-statunitensi); per fare riacquistare ai titoli di Stato - scesi dopo l’8 settembre al di sotto del 30 per cento - il loro valore effettivo e tavolta a superarne la parità; di garantire all’esercizio finanziario 1944-1945 la compilazione regolare dei bilanci di previsione (pubblicati dalla "Gazzetta Ufficiale") tanto che le entrate complessìve furono di 380,6 miliardi, le spese di 359,6 miliardi e con un supero di 20,9 miliardi, senza fare ricorso a prestiti, nè d’emissione di buoni poliennali, mentre - nei soli primi mesi del 1945 - il gettito delle entrate fu superiore di due miliardi mensili. Inoltre, il ricorso alla stampa di monete fu di soli 110,881 milioni rispetto ai 137,840 autorizzati.
Sul giornale "Il Popolo" (Anno III, n. 24 del 25-8-1945) venne precisato che il senatore statunitense Victor Wickersham in una conferenza stampa, dopo il conflitto in Europa, dichiarò che "la situazione economica dell’Italia settentrionale (quella inerente la R.S.I.) è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dell’Italia meridionale e centrale (cioè, le occupate-invase dagli eserciti di Usa, Gran Bretagna ecc.) ma anche in confronto delle condizioni di altri Paesi europei in precedenza visitati dalla Commissione di controllo e - in particolare - di Germania, Olanda, Norvegia, Belgio e di certe zone della Francia". Fu un riconoscimento ineccepibile per il ministro delle Finanze della R.S.I.! 
In merito al cosiddetto "tesoro di Dongo", quello che la fantasia post-bellica suppose in possesso degli appartenenti alla colonna di Mussolini in ritirata verso la Valtellina a fine aprile 1945, Pellegrini-Giampietro l’ha definito un "marchiano falso storico", specie in riferimento a quantità di valuta estera, monete d’oro, gioielli ecc. perchè, sia le personalità politiche quanto i militari che ne facevano parte, possedevano soltanto le dotazioni finanziarie di loro pertinenza, quindi nulla di abusivo.
Come precisa A. Norelli nel libro citato, Pellegrini-Giampietro venne processato dopo la cosiddetta "liberazione" e, sebbene fu "protagonista della difesa del tesoro nazionale e si adoperò con tutte le forze affinché il territorio dell’Italia settentrionale (dell’intera R.S.I., per l’esattezza!) non diventasse completa preda dei tedeschi - così riconobbe la Corte Suprema di Cassazione - mentre la sua opera fu ispirata ad amor patrio, non già ad asservimento al nemico, tanto più meritevole in quanto svolta fra pericoli d’ogni genere, dovette patire anch’egli le conseguenze della "guerra civile" della parte perdente. 
Indi, nel 1949, l’ex ministro delle Finanze della R.S.I. emigrò in Brasile, poi in Argentina e nell’Uruguay, ove -con coraggio e decisione - costituì grandi complessi bancari, dirigendo a Montevideo il quotidiano "Sintesi" e collaborando con articoli sull’economia al periodico "La Manana". Eppure, sebbene amareggiato per le "restrizioni anche politiche" avesse lasciato la Patria, quando il 18 giugno 1970 si spense per infarto in terra straniera, Domenico Pellegrini-Giampietro lasciò alle nuove generazioni l’intero patrimonio della sua forza ideologica, quella che nella sintesi più significativa richiama al l’impegno politico dell’affermazione della socializzazione nell’economia produttiva, cioè all’autentico stimolo d’evoluzione mondiale di civiltà sociale e che Berto Ricci, già sulla rivista "L’Universale" del gennaio 1931, sollecitava d’elevare all’altezza di primato e che, a fine aprile 1945, prima di lasciare la Prefettura di Milano per affrontare il martirologio di Giulino di Mezzegra e poi di piazzale Loreto, Benito Mussolini indicò a G.G. Cabella, nella sua ultima intervista al direttore del "Popolo d’Alessandria", come vero vessillo per l’equilibrio produttivo e di benessere sociale per ogni cittadino nel mondo.
 
 
ITALICUM  settembre-ottobre 2003 Anno XVIII (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

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